Perché parlare ancora di licenziamenti.
In questo momento le varie normative che si sovrappongono dovrebbero aver creato uno stallo (almeno temporaneo) alla possibilità di licenziare.
Credo tuttavia che questa non sia la soluzione.
Un passo indietro per capire, in poche righe, quali licenziamenti siano fattibili in questo gennaio 2021.
A fronte della pandemia i vari DPCM che si sono succeduti, seppure non sempre nello stesso modo, hanno di fatto bloccato una parte dei licenziamenti sino al 31.03.2021 (almeno per il momento).
Quale parte è stata bloccata?
In generale sono impediti quei licenziamenti che derivano da esuberi del personale per carenza di lavoro.
Sono previste delle eccezioni relative a chiusure d’azienda, procedure concorsuali, accordi sindacali ma, per comprendere il tutto in una macro categoria, si può affermare che da febbraio 2020 ad oggi non è possibile licenziare dicendo “ho avuto un calo di lavoro”.
Questo cosa significa?
Significa che tutte le altre ipotesi di licenziamenti sono sempre state possibili.
Qualche esempio.
Motivi disciplinari (quindi per quei comportamenti non corretti durante l’esecuzione dell’attività)
Durante il periodo di prova
Termine dei contratti a tempo determinato (dove non si ha un vero e proprio licenziamento ma in ogni caso il rapporto finisce)
Inidoneità alla mansione per problemi psico fisici
e alcuni altri.
Perché parlare ancora di licenziamenti?
Quanto appena detto è davvero molto importante e apre la necessità di un esame complessivo a quasi un anno dallo stop dei licenziamenti.
Il dato che emerge, nella mia esperienza e nell’esperienza di tanti colleghi avvocati del lavoro, è quello che le aziende, per ovviare al divieto, siano ricorse a motivi (leciti ma non sempre reali) per estromettere dei dipendenti non più necessari alle attività.
In altri casi anche ricorrere alla cassa integrazione è stato solo un pagliativo per spostare nel tempo il licenziamento; più di un datore di lavoro ha infatti già avvisato il proprio collaboratore che terminato il periodo di cassa integrazione sarà sicuramente licenziato.
Che genere di problema crea questa situazione?
Lato imprenditore.
Creare un bilanciamento, spesso complicato, tra il dover tenere un dipendente di cui non si ha necessità e pensare di lasciare una persona e la sua famiglia senza un mezzo di sostentamento.
Scelta questa che per alcuni si risolve unicamente nel tentare ogni strada possibile per “far quadrare i conti”.
Lato collaboratore.
Incertezza rispetto a cosa accadrà dopo il tempo del divieto. Anche per coloro che non hanno avuto la limitazione dell’orario di lavoro vi è comunque il pensiero di una mancata sicurezza e stabilità.
Per entrambi datore di lavoro e lavoratore il dubbio (più di quanto non vi sia in una normale gestione di azienda) genera unicamente una potenzialità lavorativa ridotta; in cui l’unico pensiero è quello di “far quadrare i conti”.
E quindi?
Ora più che mai è importante che imprenditore e collaboratori siedano in modo trasparente allo stesso tavolo per fare chiarezza con gli strumenti in loro possesso.
Posto che nulla si può fare contro il divieto (che per parere mio non ha minimamente risolto la situazione) è questo il tempo di evitare le strategie nascoste.
I collaboratori conoscendo, anche nel dettaglio, le difficoltà possono davvero fare squadra con l’imprenditore per uscire dalla situazione di crisi.
Questo perché i più colpiti sono proprio le piccole medie aziende, dove il dialogo è ancora fattibile.
Perché parlare ancora di licenziamenti?
Parlare di licenziamenti serve per creare un nuovo ponte di dialogo; quel dialogo che porta verso il vero welfare aziendale.